Ancora co ste repubbliche baltiche,
direte. Me ne mancava solo una, dai, mica potevate pensare che sarei morto
lasciandomi dietro questo vuoto incolmabile. E vi dirò di più: in un
colpo solo, con la Finlandia ho pure finito la Scandinavia! (benché una ricerca
molto approfondita lasci aperta l’ipotesi che anche l’Islanda ne faccia parte:
Wikipedia:
La Scandinavia è una regione
geografica e storico-culturale dell'Europa
settentrionale. Dal punto di vista geografico la penisola
scandinava è costituita dalla Danimarca Norvegia, Svezia e parte
della Finlandia (l'area
nord-occidentale)[1][2] ed
esclude l'Islanda, nonché i territori autonomi delle isole Åland, le Isole
Fær Øer e la Groenlandia. Il termine Scandinavia viene comunque anche utilizzato
impropriamente come sinonimo di "Norden" in senso largo includendo
questi altri territori.
Mah, io comunque, per non sapere né
leggere né scrivere, nel frattempo mi alleno con la haka islandese, chissà che
non mi torni utile in futuro).
Ma torniamo a noi e all’antefatto che ha
messo in moto la serie di eventi che mi ha condotto fin qui. Tutto è cominciato
con un flash in attesa della metro: un cartellone pubblicitario della Vueling
che sbandiera la possibilità di aggiudicarsi voli ad 8.99 euro per promuovere l’attivazione
di nuove rotte da Roma. Ahahah, rido io. E continuo a sghignazzare pure mentre via
cellulare provo a collegarmi al sito, consapevole dell’inutilità del tentativo.
Infine mi sbellico quando seleziono la tratta Roma-Tallin, la meta meno low
cost del pianeta. Quando poi mi rendo conto di quanto è accaduto, sono ormai
passati un paio di minuti, trascorsi in un clima di totale incredulità, la
stessa di chi ha puntato sul Leicester vincente a fine campionato inglese. Perché
la mail della Vueling che fisso con aria da ebete certifica la conferma della
prenotazione, ad un prezzo che in condizioni normali assocerei ad una gita in
Umbria. Purtuttavia sono consapevole del fatto che se non riesco a trovare un volo
di ritorno adeguato, avrò alle brutte buttato all’aria l’equivalente di un
buono pasto. Che per tener vivo un sogno è comunque una cifra che ad oggi sono ancora
disposto ad accettare.
E così nei giorni seguenti mi metto a
dare la caccia al suddetto volo, senza però trovare una soluzione che non sia
inferiore ai 180 euro.
Ma proprio quando ormai comincio a
perdere la speranza, ecco che la geografia viene in mio soccorso: e se attraversassi
la stretta lingua di mare che separa Estonia e Finlandia e tornassi da
Helsinki? Detto fatto. In men che non si dica le basi del viaggio vengono edificate.
Una volta fissato il volo di ritorno, ad un prezzo ben più basso che se fossi
tornato da Tallin, passo alla ricerca degli ostelli, scandagliando
quotidianamente il sito di booking.com in cerca dell’offerta migliore. Quindi
studio i trasferimenti da/per porti e aeroporti e i trasporti pubblici
cittadini, mentre nel frattempo comincio ad orientarmi con la mappa delle
città, e così via, fino ai dettagli più mondani e suscettibili di variazioni
dell’ultima ora.
Come consuetudine, alla fine tutto lo
sforzo viene riassunto in un file excel, la cui stampa porto gelosamente con
me. Piuttosto preferirei perdere la carta d’identità.
21-22
giugno
Ed ecco giunto il gran giorno. O forse farei meglio a dire la gran sera. Eh già, perché avevo dimenticato di dire che il volo è sì
regalato, ma contiene un inconveniente non da poco: la partenza alle ore 23,
con arrivo alle 3:30 ora locale (2:30 ora italiana per via del fuso orario). Mi
accordo con l’ostello per il deposito bagagli, visto che prenotare una camera
in piena notte avrebbe poco senso, ricevendo rassicurazioni sul fatto che la
reception resta aperta 24h su 24, e mi preparo ad affrontare la nottata più
lunga dai tempi dell’allattamento dei figli.
Il piano è semplice: dormire in aereo,
per poi vagare per la città in attesa dell’alba, fiducioso del fatto che a
quelle latitudini e a quell’ora di notte la luce soffusa possa guidarmi tra le
vie silenziose e addormentate della città. Che poi è lo stesso piano di tutti
gli altri passeggeri.
Tutti, meno due.
Già, perché due estoni completamente sciroccate
(indizi schiaccianti sulla loro nazionalità: bionde occhi azzurri linguaggio
incomprensibile) esattamente nella fila accanto alla mia, danno vita ad un
teatrino sgraziato, fatto di risate sguaiate senza praticamente soluzione di
continuità, per tutta la durata del viaggio.
All’arrivo tuttavia il mio malumore per
il sonno perduto viene spazzato via da una sorpresa del tutto inaspettata: un tavolo
imbandito di tante leccornie in onore del viaggio inaugurale della tratta, che
abbina stuzzichini italiani, accompagnati da caffè e cappuccino, ad altri
estoni, abbinati alla tradizionale bevanda a base si menta artica. Che dire:
meglio di così non posso cominciare no?
Ma l’esperienza insegna che non bisogna mai
cantare vittoria, perché il destino avverso è sempre in agguato. E infatti, una
volta abbandonato il taxi nella Piazza della Libertà ed aver percorso pochi
metri attraverso una città spettrale per via dell’ora notturna, individuo
l’ostello, ubicato in posizione centralissima.
Suono. Niente. Suono ancora. Niente.
Leggo il cartello accanto al campanello: bussare in caso di mancata risposta.
Busso. Niente. Busso ancora. Niente. In effetti il cartello recita: hard knock.
Busso forte. Niente. Mi scateno. Dopo 5 minuti mi apre una poraccia stravolta
dal sonno che con un cenno della testa mi fa segno di entrare e poi si rifugia nella sua stanza, senza
dire una parola. In piedi, ciascuna posizionata sulla soglia della propria
stanza, altre tre persone mi fissano con una faccia che sotto la maschera
devastata dal sonno lascia trasparire un odio profondo.
Dovrei sentirmi mortificato, ma sono
troppo stanco per provare un sentimento diverso dal desiderio di gettarmi lungo
su un divano ed addormentarmi, che è esattamente
ciò che faccio non appena trovo il suddetto divano. Tanto non ho fretta, anzi.
Se oltre al deposito bagagli depositano anche me tanto meglio.
E poi ecco che dopo circa un’ora di
attesa, all’improvviso da una stanza con su scritto Staff only esce una ragazza
seminuda completamente rintronata. Mi chiede chi sono, glielo spiego, comincia
a sbraitare fuck fuck, se la prende col malfunzionamento del campanello, poi mi
chiede chi mi ha aperto, fuck fuck, poi mi chiede di pagare il soggiorno, manco
la carta di credito funziona, fuck. Infine si alza, mi dà la ricevuta e senza
dire una parola torna a dormire nella sua stanza. Aspetto un paio di secondi e
poi busso. Posso lasciare il bagaglio? Apre, fuck, lo prende e mi chiude la
porta in faccia (con questo chiarendo in maniera inequivocabile i dubbi
interpretativi che l’imprecazione poteva sottintendere).
Che altro dire: la colazione è compresa
nel prezzo, ma se questa dev’essere l’accoglienza, decido di farne a meno per i
due giorni a venire.
Welcome Tallin!!
Carina. Non bella. Carina. C’è
differenza tra carina e bella. Civita di Bagnoregio è carina, un gioiello, ma
dopo mezz’ora ti spari. Idem Tallin. Idilliaca per una giornata, meta ideale
per crociere con sosta programmata di 8-10 ore. Scenografica, caratteristica,
per la torrette che la circondano ricorda un po’ Dubrovnik, per le passeggiate
lungo le mura Rothenburg in Germania, per l’aspetto del centro storico
Bratislava, per alcuni scorci e cortili interni…Viterbo. Tutto, quindi, fuorché
una città con la C maiuscola. Ma tant’è, me la faccio bastare.
Piazza del Municipio |
Hellemann Turm |
Tornide väljak |
Kiek in de Kok e Neitsitorni |
Epico e fantozziano l’equivoco dei 60
scalini letti sulla guida che diventano 60 metri di scalini che mi conducono
tra mille imprecazioni (fuck) in cima al campanile di Sant’Olaf, un tempo a
detta loro l’edificio più alto del mondo, per gettare un’occhiata alla
cartolina perfetta di Tallin. Un’istantanea, che è proprio ciò che rappresenta.
Una città ferma, immobile, incastonata nel tempo.
Panorama dal campanile di Sant'Olaf |
23
giugno
Il giorno successivo mi spingo fuori del
centro storico, alla scoperta del parco Kadriorg, una meravigliosa oasi verde
arricchita da un palazzo commissionato dallo zar sullo stile del Palazzo d’Inverno
di San Pietroburgo, e al ritorno decido di sperimentare il tram perché altri
due km a piedi lungo una strada anonima mi sembrano un prezzo più alto da
pagare rispetto ai due euro richiesti dal conducente.
Palazzo Kadriorg |
E arrivo giusto in tempo per approfittare
del free tour organizzato dall’ufficio turistico di Tallin, a zonzo per la città
in compagnia di una guida simpaticissima e scatenata che in due ore ci spiega
vita morte e miracoli della storia di questo paese martoriato, stretto nella
morsa di Svezia, Danimarca, Russia, Finlandia e Polonia, che a turno se la sono
spartita nei secoli. Il mio inglese è arrugginito, lei parla svelta, in media finisco
per comprendere una parola ogni tre, e questo mi costringe ad imbarcarmi in un complicato
esercizio mentale di interpolazione per carpire il senso delle frasi, a volte
con risultati esilaranti, tipo quando mi sono convinto che se fossi salito su
una determinata collina la polizia mi avrebbe arrestato all’istante, ahahah (…e
comunque non ci sono salito).
Pomeriggio completamente assorbito dalla
ricerca di souvenir: collana d’ambra come da richiesta da parte di Arianna,
maglietta e cappello rispettivamente per Matteo e Claudio. Boccette di liquore
Vana Tallin per la gioia dei miei e anche mia perché in un solo pomeriggio mi
sono tolto un peso di dosso.
La sera, prima ed unica uscita al ristorante
di tutto il viaggio che non sia MacDonalds o similari. Opto per il number one
di Tripadvisor, Rataskaevu16, e i fatti mi danno ragione. La cameriera è carina
e simpatica, mi offre anche l’antipasto fatto di pane nero e burro, un gesto
quantomeno di cortesia al di là dell’effettivo valore del piatto, e poi mi
divoro un ottimo filetto di salmone alla brace.
Il conto, sul quale la cameriera ha
aggiunto a mano delle frasi di cortesia del tipo I hope to see you again, you
are important for us, etc, che ovviamente scrive a tutti, lo conservo tuttora gelosamente
nel portafoglio. In attesa di trovare una cornice adeguata.
24
giugno
Ed è così arrivato il giorno della partenza.
Mi imbarco al porto di Tallin sulla nave della Eckero Line sotto una pioggia
battente che m’impedirà di godere del panorama per tutta la durata della
traversata e, dopo circa un paio d’ore, faccio il mio ingresso trionfale ad
Helsinki.
Mi faccio una prima idea dei finlandesi già
durante il tragitto sulla nave. E’ infatti sufficiente dare un’occhiata alle
scorte di alcolici che si portano via dall’Estonia per avere conferma di quanto
letto sulle loro abitudini. Bevono, e tanto. Carrelli zeppi di casse di liquori
e di birra a basso costo. Un viaggio andata/ritorno Helsinki-Tallin-Helsinki per
un totale di 5 ore circa solo per risparmiare su grandi quantità di alcolici. Che
amarezza.
Eppure, non appena metto piede a terra,
respiro subito un’aria nuova, per certi versi del tutto inaspettata. Tutto
intorno a me c’è fermento, movimento, frenesia. Che tradotto significa una cosa
soltanto: sono arrivato in una città vera.
Memore dei consigli, mi premuro subito
di acquistare il biglietto per i mezzi di trasporto valido per due giorni, alla
modica cifra di 12 euro, modica, se confrontato col prezzo del biglietto
singolo, di 3 euro e 50.
Poi il tram, il primo di una lunga
serie. Non perché la città sia chissà quanto grande, quanto piuttosto perché
servita bene, con mezzi puntuali e ad alta frequenza, ad ogni ora del giorno. Dopo
circa venti minuti arrivo all’ostello, in una via denominata Hietalahdenkatu
(santo subito chi ha inventato il copia-incolla), dove mi attende tutt’altra
accoglienza rispetto a quello estone, grazie ad un personale che come avrò modo
di verificare risulta molto qualificato, sempre presente (altro che fuck!) e soprattutto pronto
a soddisfare qualsiasi richiesta/esigenza. La camera, al settimo piano, è
grande e dotata di cucinino, frigorifero e bagno interno, lasciando intravedere
la baia all’orizzonte. Niente male per un ostello!
E’ ormai pomeriggio, il tempo è nuvoloso,
ma almeno non piove, contrariamente alle previsioni. Il peggio l’ho lasciato
lungo il tragitto via mare.
E così approfitto per far visita al Temppeliaukion
kirkko, a poche centinaia di metri da dove mi trovo, una chiesa molto
caratteristica ed originale, costruita all’interno della roccia.
Poi mi metto alla ricerca di un supermercato
per fare provviste: dal momento che ho il frigo in camera intendo almeno
risparmiare sui costi della colazione.
Tutto chiuso. Alimentari, supermercati.
Ribadisco, tutto. Possibile? Torno all’ostello e chiedo lumi alla reception e
quelli m’informano che oggi 24 giugno è giorno di festa nazionale (che culo!)
ma che guardacaso proprio di fronte all’ostello c’è un piccolo alimentari che
rimane sempre aperto anche durante le festività (che culo!)
Per concludere la giornata, prendo il
tram con l’intenzione di testare un ristorante economico, anche questo
segnalato su Tripadvisor, per farmi un’idea della cucina locale. Porta chiusa,
tante scritte in finlandese, una sola deduzione: stasera anche i ristoranti
fanno festa. Ma per fortuna c’è sempre il buon vecchio Mac su cui poter contare…
25
giugno
Sveglia intorno alle 3 e mezza, quando la
luce del giorno penetra attraverso i vetri privi di tenda rendendomi cieco. L’unica
considerazione positiva che riesco a formulare tra mille imprecazioni è che la
Scandinavia, almeno nel periodo estivo, dev’essere sicuramente un territorio devampirizzato. Per il resto il
sonno prosegue disturbato fino a quasi le 8 di mattina, quando mi convinco che
un giorno di sole a quelle latitudini vada comunque accolto come un dono
divino.
Mi fiondo fino alla Piazza del Mercato,
fitta di bancarelle che propongono oggetti e souvenir della tradizione locale (non
immaginavo che Finlandia si dicesse China) e di prodotti mangerecci tipici del
luogo come i frutti di bosco, venduti alla modica cifra di 7 euro al chilo e
che pertanto mi sono limitato a fotografare.
E poi salgo sul traghetto che conduce
all’isola di Suomenlinna, una fortezza militare del 1700, all’epoca considerata
inespugnabile, almeno fino a quando la prima nave russa non si è affacciata minacciosa
sul golfo. Solo la prontezza dei soldati finlandesi nell’issare bandiera bianca
ha evitato che la fortezza venisse distrutta e privata del patrimonio
dell’Unesco che oggi può orgogliosamente vantare. Il tragitto in traghetto fino
a Suomenlinna è breve, poco più di un
quarto d’ora, ma consente di avere un’idea della morfologia del luogo,
disseminato di isolette, alcune grandi, altre delle dimensioni di piccoli
scogli, ciascuna con la sua casetta rossa in legno circondata da fitta
vegetazione.
Una volta tornato sulla terraferma,
quasi casualmente m’imbatto nel capolinea del bus 24, che ricordo conduce
all’altra meta prevista per la giornata, l’isola Seurasaari. Lungo il tragitto,
getto un’occhiata al parco Sibelius, dove so che si erge il monumento dedicato
al musicista finlandese, cercando di memorizzare la fermata d’autobus più
vicina, in vista del ritorno.
Ancora più selvatica di Suomenlinna, Seurasaari
è ricca di spiagge affollate(!) di bagnanti e con una foresta di betulle
all’interno a fare da contorno a specchi d’acqua cristallini, una vera
bellezza. Ma il vero punto di forza del giro dell’isola è che mi accorgo della
biglietteria solo a tour concluso, quando realizzo che senza volerlo (giuro,
sono innocente!) ho risparmiato la bellezza di 9 euro.
Sulla via del ritorno comincio a
guardare a destra e sinistra per individuare la fermata corrispondente al parco
di Sibelius, ma non trovo riferimenti. Poi all’improvviso un flash: il
monumento sfreccia veloce sulla mia destra. Mi getto sul pulsante della
chiamata e, tempo neanche 2 secondi, l’autista inchioda alla fermata, dandomi così
la possibilità di scoprire come si dice Dio in finlandese.
Il tempo di scattare una decina di foto
e poi di nuovo sul bus successivo fino all’ostello.
Breve riposo di neanche un quarto d’ora e
poi ancora sul tram fino al centro. L’equivalente di un rullino di selfie con sfondo
la fotogenica cattedrale bianca
e quindi l’impulso, improvviso quanto
apparentemente insensato, di riprendere il traghetto per Suomenlinna. Perché se
ci sei andato anche la mattina? Mah…primo perché onestamente non so cos’altro
inventarmi, e poi per sperimentare un’altra prospettiva, sorretto dalla
convinzione che il tramonto possa conferire alla fortezza un fascino
particolare, cosa che viene confermata al mio arrivo. Percorro quindi lo stesso
sentiero della mattina ed infine mi siedo a riposare sulle rocce in riva al
mare, per qualche pausa di riflessione mistica.
Poi, di nuovo a casa. Il tempo di
mangiare un boccone al volo e quindi giù nella sala comune dell’ostello, per
assistere alla visione di Croazia-Portogallo, la partita ahimè più noiosa dell’intero
europeo. Con l’aggravante, primo, che si è protratta fino ai tempi
supplementari e, secondo, che ha visto l’eliminazione della Croazia, sulla cui
vittoria finale avevo investito ben 5 euro ad inizio competizione.
26
giugno
Il giorno del ritorno. L’aereo è
previsto nel primo pomeriggio, per cui ho la mattinata libera per esplorare
nuove zone. Mi spingo allora fino alla baia di Toolo, uno specchio d’acqua
circondato da un percorso naturalistico che esploro sotto un sole cocente e, al
ritorno, faccio tappa lungo la spiaggia vicino all’ostello, affollata di gente.
Ed è proprio lì che mi accorgo che la fotocamera ha smesso di funzionare, fuck.
Dal giorno prima, peraltro. Nel senso che fa lo scatto, ma poi non memorizza il
risultato nella scheda sd. Perdonerete pertanto l’impossibilità di documentare le
mie innumerevoli conquiste di quella mattina con un’ultima carrellata di foto. Dovete
fidarvi della mia parola.
Infine una chicca, prima delle
conclusioni finali.
Una volta sull’aereo, mentre cerco di combattere
la noia sfogliando una delle tante riviste propinate dalla compagnia, m’imbatto
quasi per caso in un articolo che mi lascia esterrefatto. Non tanto (e non
solo) per quello che asserisce, che di per sé suona quantomeno stravagante,
quanto piuttosto perché conferma una mia sensazione, che fino a quel momento
avevo relegato nella parte più remota del cervello in quanto la ragione l’aveva
etichettata come assurda. E cioè (non ridete) che la lingua giapponese e quella
finlandese hanno molti tratti in comune.
…
…
Finito? Bene, datemi almeno il tempo di azzardare
una giustificazione che risulti il più possibile credibile ai vostri occhi.
Innanzitutto mi riferisco alla lingua
parlata, è ovvio. Detto ciò, durante la mia seppur limitatissima permanenza in
Finlandia, dai dialoghi tra locali intercettati qua e là, immagino che il mio
orecchio abbia captato alcuni suoni e sfumature verbali riconducibili all’immaginario
collettivo nipponico, quello per intenderci che noi ragazzi degli anni 80
abbiamo edificato a partire dalla visione almeno ventennale di cartoni manga, e
che poi abbia trasferito questa informazione al cervello che ne ha tratto le (seppur apparentemente bislacche) logiche
conseguenze.
Ritorno a casa. Contrariamente alla
volta scorsa, in questo frangente non c’è nessun vicino a cui raccontare le mie eroiche gesta,
bensì i figli, che mi vengono incontro
festanti, accogliendomi a braccia aperte.
E con un desiderio sfrenato di
raccontarmi le loro, di avventure J